Parto da questa considerazione oggi, dopo giorni di autentica bellezza contattata nei nostri corsi di formazione fuori sede, perchè mi è tornata in mente un'immagine di qualche mese fa che mi ha fortemente colpita.
Scuola dell'infanzia, Roma. Io, Fabio e Annamonica pronti per iniziare lo spettacolo di fiabe interattive per bambini. Aspettavamo in una stanza mentre i bambini si erano sistemati con le loro seggioline nel salone. Eravamo pronti, si trattava solo di lasciar decantare un momento quell'adrenalina che investe i bambini prima di un evento importante e che li rende felici, eccitati, pieni di un'energia incontenibile che scorre come elettricità..Che mi piace sempre, mi ricorda ogni volta che anch'io ero così da bambina e che, fortunatamente, spesso lo sono ancora.. prima di fare una conferenza, mentre scrivo una nuova fiaba, prima di andare a vedere uno spettacolo che aspettavo da tempo, prima di partire per un viaggio.. Insomma, conosco bene quella sensazione e, l'unica differenza che c'è fra me e un bambino che si trova a vivere quello stato, è che io essendo adulta riesco a gestirla (quasi sempre!).
Torniamo in quella scuola dell'infanzia e immaginiamo settanta bambini emozionati, agitati, curiosi, felici per l'inizio di uno spettacolo interpretato da persone che già conoscono e che sono diventate un pò come dei compagni di avventure magiche. I bambini ridevano, battevano le mani, qualcuno chiamava i nostri nomi..Niente di più. Una sana vivace atmosfera di festa e gioia.
Almeno noi la percepivamo così, sorridendo nell'attesa di cominciare.
Ma l'insegnante di riferimento non era evidentemente del nostro parere. A lei quella "confusione" disturbava, dava fastidio..le sembrava quasi una mancanza di rispetto nei suoi e probabilmente anche nei nostri confronti. E così, urlando, ha messo in atto il rito delle "bocche cucite". I bambini hanno simulato di cucirsi la bocca, con ago e filo immaginario, guidati magistralmente dall'insegnante: "Tiriamo il filo e cuciamo anche il labbro sopra..ora tiriamo bene...tiriamo forte.." e così via, per tutta la bocca, continuando ad urlare con tono minaccioso e dittatoriale. " E ora non potete più parlare perchè la bocca è completamente cucita..e resterà così per tutto lo spettacolo"
Avevo i brividi! L'immagine della situazione e la modalità messa in atto per quella specie di rito del silenzio arrivavano a noi con un impatto forte e violento. Sono entrata in scena chiedendo immediatamente ai bambini di aprire la bocca e di provare a fare una bella risata "perchè siamo qui per ridere, giocare, raccontare insieme.."
La risata dei bambini è stata fragorosa, liberatoria..una cascata d'acqua fresca e sonora.
E a me questo episodio ha fatto tanto riflettere. Sarebbe troppo banale giudicare semplicemente senza indagare più in profondità. Credo che i discorsi da fare siano tanti e coinvolgono contesti culturali, sociali.. bisognerebbe partire dai modelli pedagogici di riferimento, dalla formazione individuale, dal contesto scolastico specifico..Per questo non voglio generalizzare rischiando di essere superficiale nei confronti di un argomento così complesso e serio.
Però mi sento di dire che non può e non dovrebbe essere questa la proposta educativa per chiedere a un gruppo di bambini di mettersi in ascolto senza parlare. Possibile che non ci siamo altre modalità? Possibile che i bambini siano ancora considerati piccoli individui da indottrinare? "Ora state zitti..ora braccia conserte..ora bocche cucite".. Perchè non riprendiamo la temibile bacchetta allora, così nessun bambino oserà fiatare senza permesso? Mi sembra una pedagogia del terrore. Mi sembra una scuola "vecchia" questa, che non conosce le grandi rivoluzioni pedagogiche dei nostri tempi e che non vuole conoscerle. Mi sembra una pedagogia della negazione. Neghiamo ai bambini la libertà di essere se stessi, di manifestare i loro desideri, pensieri, sentimenti..Gli neghiamo di diventare autonomi e creativi.
E' indubbiamente più faticoso confrontarsi con i bisogni concreti dei bambini, cercando di accoglierli e di metterli al centro delle nostre scelte educative..ci vuole flessibilità, spirito di adattamento e tanta passione, ma credo che sia l'unico modo per educare, nel senso pieno del termine.
Anche il Metodo Teatro In Gioco è stato per me terreno di scoperte, rivoluzioni culturali, cambiamenti..partendo da me. Anch'io ho dovuto rivedere alcune mie posizioni cercando nel mio ruolo di "educatrice teatrale" una flessibilità che quindici anni fa non avevo. Quando ancora credevo che fare teatro con i bambini di 3 anni significasse portarli sul palco alla fine del laboratorio. Quando ancora non avevo compreso il senso di globalità espressiva insito nell'atto teatrale: teatro è narrazione, gesto pittorico, danza... teatro è rotolarsi nel colore, ridere insieme nel cerchio delle storie, attraversare un tunnel fatto con le stoffe per arrivare in un regno magico.. L'ho dovuto costruire questo grande contenitore espressivo ricco di contesti narrativi, forme, simboli.. Ed è più faticoso aprirsi a questa sperimentazioine con i bambini piuttosto che tenerli seduti a recitare a memoria una filastrocca. E' più stancante perchè ci si sporca, ci si muove, si salta e a volte si urla per l'entusiasmo..e poi le energie vanno anche incanalate, contenute, gestite e ci vogliono tempo, capacità di ascoltare e di farsi ascoltare, nel chiaro riconoscimento dei propri ruoli..ma senza bocche da cucire!