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giovedì 23 luglio 2015

CATERINA E GIACOMONE ALL'UNIVERSITA'.. fiaba e metodo in una tesi di laurea


Il Metodo Teatro in Gioco, l'importanza della narrazione, la fiaba interattiva come terreno di gioco teatrale e relazione armoniosa mamma-bambino, la fiaba di Caterina e Giacomone in un percorso di analisi e ricerca. In questa tesi c'è davvero tutto questo.

Da qualche anno mi contattano diverse studentesse alle prese con la propria tesi di laurea riguardante il teatro, il rapporto teatro-didattica, la valenza educativa del linguaggio teatrale. Mi fa sempre molto piacere essere inserita, con le mie ricerche e con il Metodo, in questi lavori; è davvero gratificante per me. Solitamente si tratta di interviste vere e proprie in cui mi viene chiesto di illustrare il mio Metodo, raccontare e spiegare i percorsi didattici, ecc. Questa volta la tesi di Rosita mi ha positivamente colpito. E' una tesi in cui, a partire da diverse riflessioni sul Metodo Teatro in Gioco e da una fiaba in particolare, si sviluppano ricerche molto interessanti. E' stata davvero una sorpresa ed una piacevolissima lettura! Con il suo consenso riporto nel mio blog alcune parti che riguardano soprattutto il nostro Metodo.

Di Rosita Zaiti, tratto dalla sua tesi di laurea "Il Teatro Mamma", Scienze della Formazione, Università di Firenze, luglio 2015

 I bambini, in tutte le fasi della loro crescita, hanno dei bisogni irrinunciabili, come mangiare, bere, dormire ma, per crescere bene, hanno bisogno anche di relazione, sostegno, calore, protezione; in una parola di cura. Soddisfare questi bisogni è, primariamente, un compito della famiglia: i genitori e le persone che si occupano dell’educazione dei bambini possono aiutarli nella loro crescita intellettiva e sociale costruendo attorno a loro relazioni fatte di tempo e spazio da dedicare, di disponibilità all’ascolto e al gioco.

Lo scopo di questa tesi è di presentare il Teatro Mamma, e l’importanza che esso ha nella creazione della relazione tra mamma e bambino. 
Viene analizzata una nuova prospettiva, quella in cui la narrazione diventa strumento che unisce grandi e piccoli nella costruzione di un rapporto fondato sulla fiducia e sul rispetto reciproco.
Nel primo capitolo, dopo aver fatto un breve cenno storico all’origine del teatro classico, sposterò la mia attenzione, sul Teatro Mignon. Si tratta, di diverse forme di teatro, adatte soprattutto ai bambini poiché privilegiano la relazione che si viene a creare durante la narrazione-interpretazione tra la mamma e il suo bambino.
Nel secondo capitolo, analizzerò il Teatro Mamma, ossia termine che ho creato poiché attraverso queste due parole rendo chiara l’immagine della mamma che narra al suo bambino. Nello specifico, sottolineo i quattro punti utili alla narrazione, ovvero il perché narrare al proprio bambino, il come, il quando e il dove. Le mie ipotesi di studio si sono progressivamente arricchite grazie agli studi sulla teoria dell’attaccamento di Bowlby e di Ainsworth che ha trovato concreta realizzazione nel lavoro della ideatrice del metodo Teatro in Gioco, Helga Dentale. A quest’ultima è stata realizzata personalmente un’intervista, inserita nel secondo capitolo.
Nel terzo ed ultimo capitolo, metterò in atto quanto detto nel primo e nel secondo, per dimostrare quanto concrete e realistiche siano le analisi di studio riportate. Ho realizzato delle esperienze di racconto grazie alla partecipazione di tre mamme e tre bambini di età diverse, utilizzando la storia di Caterina e Giacomone, cioè di una manina e di un piedone, inventata da Helga Dentale.  

  IL TEATRO MAMMA
È facile perdersi tra gli innumerevoli studi che concentrano l’attenzione sul legame che biologicamente esiste tra mamma e bambino. I vari studiosi a cui mi sono dedicata, mettono a fuoco come la mamma sia la figura di riferimento per quanto riguarda l’accudimento del bambino. A lei il compito di nutrirlo e di provvedere al cambio e al benessere fisico, ma non solo, poiché la crescita ruota anche attorno alle coccole. Infatti, gli studi analizzati concentrano l’attenzione sullo sviluppo psico-emotivo del bambino che dalla fase primordiale, come ad esempio quella dei naturali bisogni fisiologici, progressivamente passa all’esternazione di nuove necessità poiché stimolate dal mondo circostante.  

Gli studiosi John Bolwby e Mary Ainsworth hanno incentrato il loro campo di ricerca sull’importanza della relazione che nasce e si sviluppa tra il bambino e la figura materna. Bolwby sottolinea l’importanza delle coccole, dei giochi, del piacere che un bambino prova nel contatto fisico con la propria mamma poiché è proprio da questa interazione che nasce e si sviluppa il suo valore come persona. I due studiosi hanno cercato di dimostrare come lo sviluppo armonioso della personalità di un individuo dipenda principalmente da un adeguato attaccamento alla figura materna o da chi lo accudisce quotidianamente. 

Entrambi non accettano l’idea che prendere in braccio il proprio piccolo che piange non significhi viziarlo, bensì rispondere in maniera adeguata ad un bisogno reale del bambino: non necessariamente si tratta di fame, di bisogni fisiologici o di capricci, dal momento che, per calmare un bimbo, basta il contatto con chi si prende cura quotidianamente di lui.
John Bowlby riprende nel 1969 il concetto di “base sicura” elaborato a sua volta negli anni ‘60 dalla psicologa Mary Ainsworth. Con il temine “base sicura” si fa riferimento alla persona fidata a cui il bambino è attaccato, in quanto certezza grazie alla quale è in grado di operare.
( J. Bowlby, Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Milano, Raffaello Cortina, 1989)

Innumerevoli studi dimostrano quanto sia importante parlare al proprio bambino sin dai primi giorni di vita, ma altrettanti studi confermano che questo dialogo può iniziare molto prima, fin da quando il bambino si trova nel grembo materno. L’interlocuzione continua con il proprio bambino, non solo permette lo sviluppo del linguaggio, ma ha anche un ruolo di tipo affettivo, nel senso che dona al bambino la consapevolezza non soltanto di saper parlare e di essere sentito da qualcuno, ma soprattutto di essere ascoltato dai suoi interlocutori. Più il dialogo diventa complesso più il bambino sentirà il bisogno di comunicare sentimenti ed emozioni alla propria mamma, non solo con le parole, ma soprattutto con i gesti: basterà una carezza, uno sguardo, un abbraccio per esprimere alla mamma il suo stato d’animo, senza avere bisogno di tante parole. Tutto questo va rapportato ancora una volta a quell’ intimo rapporto tra mamma e bimbo che inizia nella vita intrauterina dove il liquido amniotico ha fatto conoscere al bimbo il sapore della sua mamma, diventando cassa di risonanza della sua voce, filtro dei suoi stati d’animo e guscio protettivo in cui si sviluppano i primi stadi di crescita. Come abbiamo già detto in precedenza, se il latte della mamma è nutrimento per il corpo del bambino, l’odore, le coccole e i baci della mamma, sono nutrimento per la sua psiche. Tutto questo diviene fondamentale per il suo sviluppo cognitivo ed emotivo.

Il presente studio intende concentrare la propria attenzione sull’importanza che ricopre il racconto e l’interpretazione da parte della mamma, la quale è in grado di creare e sviluppare sicurezza e fiducia nel bambino e quindi, nell’adulto di domani.
Il Teatro mamma rappresenta l’inizio, o meglio, il proseguimento di una relazione che esiste già in modo innato tra la mamma e il suo bambino.
Il binomio teatro mamma implica, pertanto, una reinterpretazione del concetto stesso di teatro. Questa idea viene confermata dall’intervista fatta personalmente ed inserita in fondo al terzo capitolo, a Helga Dentale, ideatrice del metodo di pedagogia teatrale, Teatro in Gioco. La sua idea ruota attorno al concetto che «fare teatro con i bambini significa sperimentare corpo e voce, fiaba e narrazione, gesto corporeo e gesto grafico, emozioni e sensi». ( Si veda intervista a Helga Dentale in fondo al II capitolo)

PERCHE’: il rapporto mamma-bambino.
La mamma stabilisce un contatto profondo con il proprio bambino scambiando con lui sguardi, emozioni e percezioni che passano attraverso le parole. In questo senso dedicare del tempo al proprio bambino, non necessariamente finalizzato al soddisfacimento dei bisogni fisiologici di quest’ultimo, significa fare quotidianamente un atto d’amore. Quindi anche raccontare e interpretare una storia, una fiaba con il gusto di farlo, senza alcuna fretta, e vivendo intensamente il momento, può considerarsi un dono d’amore. Perché secondo la studiosa Helga Dentale «Raccontare una fiaba significa creare “un cerchio magico” fatto di ascolto attivo: un racconto che cattura completamente l’attenzione del bambino che si lascia trasportare nella magia della fiaba.»
( H. Dentale, Io racconto… tu ascolti…insieme giochiamo !, Allegramente Edizioni, Roma 2012, p. 12 – 13, 21)
Nel momento stesso in cui la mamma smette di essere mamma, diventando narratrice, trasformandosi quindi in interprete e protagonista di una storia a cui presta la sua voce e la sua immagine, inizia sotto gli occhi del bambino quello che potremmo definire il teatro mamma. In quell’ istante, si alza il sipario e comincia un coinvolgimento emotivo, una complicità che permettono a lei e al bambino di fidarsi l’uno dell’altro giocando e condividendo un momento magico fatto di contatto profondo. La mamma recita, ma non smette di dialogare con il proprio bambino, poiché la sua abilità sta nel muovere le fila della storia osservando la reazione del suo piccolo spettatore. Durante questa narrazione–interpretazione di una breve storia entrano in gioco diverse componenti: la gestualità del corpo, il tono della voce e l’espressività del viso che sono i mediatori tra lei e il bambino.
Dal momento che la narrazione e l’interpretazione della mamma si trasformano in quel dono d’amore che unisce ancora più profondamente la mamma e il suo piccolo, allora perché rimandare l’inizio di questa avventura? La stessa Helga Dentale sottolinea a tal proposito:

La fiaba apre al bambino uno spazio immenso da esplorare con la fantasia e l’immaginazione; è una finestra che si spalanca su nuove tematiche da esplorare, emozioni da assaporare, paure che si possono superare.

Prendere in braccio il proprio bambino o sedersi accanto a lui, accarezzandolo e guardandolo negli occhi, rappresentano l’incipit del momento magico. La mamma o il papà comincia a muovere le fila di quei burattini invisibili che calcano la scena del teatro, il cui sipario magicamente si apre dinanzi agli occhi del piccolo spettatore.
La mamma - teatro crea in tal modo i presupposti più adatti per far conoscere al proprio bambino figure e temi nuovi che possono essere tanto leggeri e divertenti quanto tristi e dolorosi. Il teatro mamma, infatti, diventa il mezzo di comunicazione più adatto per i bambini che vivono la quotidianità filtrandola con le loro esperienze.
 Da diversi studi emerge che tra i modi migliori per sviluppare il processo di attaccamento vi è sicuramente la narrazione e la lettura ad alta voce.
È stato dimostrato inoltre che l’attaccamento madre - bambino è spesso anche legato alla frequenza con cui condividono i momenti del racconto. Tutto questo diventa la base che permette al bambino di acquisire la sicurezza, di instaurare dei rapporti con il mondo. Il bambino ha bisogno di certezze, di conferme che possono giungere da quell’atto d’amore che è rappresentato dalla condivisione del gioco del racconto fra mamma e figlio: la mamma e il bambino devono leggere insieme, devono raccontarsi insieme. 45
In conclusione, sia che si tratti di narrazione sia che si tratti di lettura animata, il nucleo del discorso si sposta sulla intima relazione mamma - bambino che scaturisce durante questi momenti magici.


 LA STORIA DI CATERINA E GIACOMONE.
Il presente capitolo ha lo scopo di illustrare quanto concrete e realistiche siano le analisi di studio portate avanti nei due capitoli precedenti. Si tratta qui, infatti, di descrivere come la narrazione della storia di Caterina e Giacomone diventi teatro formato da mamma e bambino.
Obbiettivo principale di questo studio è analizzare attraverso la relazione tra la mamma e il suo bambino la nascita di quell’incontro magico tra burattino e burattinaio, che inaspettatamente diventano protagonisti e, all’improvviso, senza un apparente motivo, creano il teatro mamma. Strumento principale della narrazione e del racconto sembrano essere le parole, ma grazie agli innumerevoli studi analizzati è emerso che veicolo di comunicazione è molto spesso il corpo e i gesti che accompagnano la narrazione. La stessa Helga Dentale nel suo testo Il corpo narratore di storie afferma che:
C’è un linguaggio muto fatto di sguardi e movimenti, di sussulti e oscillazioni, di gesti lenti e scrupolosi che disegnano nell’aria una forma […] è il linguaggio acquisito dai bambini più piccoli che ancora non comunicano utilizzando voce e parole, e parlano con il corpo. È il linguaggio scelto dai bambini che hanno già imparato a parlare ma che proseguono a raccontare storie attraverso il corpo, perché è semplicemente naturale […]  (H.Dentale, Il corpo narratore di storie, Youcanprint, Tricase, 2015)

Per facilitare tale tipo di studio ho scelto di analizzare la storia di una mano e di un piede, ossia di Caterina e Giacomone, i cui protagonisti non hanno bisogno di allestire alcuna scenografia. La scena si svolge su un palcoscenico semplice, quasi inesistente, e che in realtà nasce sotto gli occhi dei due protagonisti. Stiamo parlando delle ginocchia della mamma, del tappeto o del bagno, come già anticipato nel capitolo precedente ed è proprio in questo ambiente semplice che trova terreno fertile la relazione mamma-bambino.
È infatti importante non eccedere con gli stimoli per non creare disorientamento nel bambino, così come è fondamentale scegliere anche temi semplici attraverso l’utilizzo di pochi protagonisti. È fondamentale, rispecchiare nel teatro mamma nient’altro che la quotidianità, che trae spunto dal modo con cui il bambino stesso concepisce la sua vita e il mondo che lo circonda. In tale situazione diventano a loro volta protagonisti oggetti semplici e apparentemente inutili che però saranno fonte di ispirazione della narrazione stessa.61
61 Per questo ragionamento fare riferimento a: H. Dentale, Il corpo narratore di storie, Youcanprint, Tricase, 2015.

62 R. Giorgi, Gira, gira il mestolo, in «Bambini», EdizioniJunior, Parma, 2015.
Anche durante la mia personale esperienza presso il nido comunale “Il Borgo” di Prato, durante il tirocinio di formazione, ho avuto modo di osservare da vicino come l’educatrice, grazie all’aiuto di un semplice mestolo, di un cappello e di un telo nero incantava i bambini con l’avventuroso viaggio nel mondo delle streghe. In riferimento a ciò, la rivista Bambini nel mese di Gennaio 2015 ha pubblicato un articolo dal titolo: Gira, Gira il mestolo in cui viene riportata un’esperienza simile alla mia.
L’ articolo mette a fuoco l’aspetto organizzativo che entra in gioco nella progettazione delle varie attività, collocate all’ interno di uno spazio specifico, come quello del nido, dove in particolare giocano un ruolo fondamentale le componenti spaziali e temporali. La mia esperienza, invece, mette a fuoco la concretezza con cui l’attività dell’educatore catturi con i semplici oggetti sopracitati l’attenzione del bambino e lo coinvolga emotivamente.

Ma perché ho scelto proprio questa fiaba? Ho avuto l’opportunità di diventare zia molto presto, infatti, avevo appena compiuto tredici anni, quando nacque il mio primo nipotino, seguito qualche anno dopo dall’arrivo di altri due bimbi da coccolare e accudire.
Mi sono occupata di questi bambini in prima persona: pappa, cambio del pannolino, bagnetto, e soprattutto coccole e momenti di gioco. Credo che tutto questo mi abbia permesso di sviluppare le mie capacità di osservazione e di analisi, supportate soprattutto dalla mia formazione presso il Liceo Socio-Psico-Pedagogico prima, e all’Università dopo. Nonostante i mezzi di comunicazione di massa e i nuovi supporti informatici gestiscano e organizzino la nostra vita quotidiana, ho modo di vedere che persino il più bel cartone animato della Walt Disney, può diventare in un attimo noioso se ci si dedica a un bambino raccontandogli, magari inventandogli sul momento, un breve racconto.
Quando ho iniziato il lavoro di ricerca per la mia tesi di laurea, mi sono addentrata nel mondo di Helga Dentale, perché sembra rispondere ai miei tanti interrogativi sui metodi didattici più adeguati durante il percorso di crescita che un bambino intraprende con la mamma e che sviluppa ulteriormente frequentando un asilo nido. 

Helga Dentale, attrice, formatrice e docente, è l’ideatrice del metodo di pedagogia teatrale Teatro in Gioco. Riprendendo vari studiosi che prima di lei hanno analizzato e confermato l’importanza del corpo come strumento di apprendimento, parla addirittura di “alfabetizzazione emotiva”.
Le fiabe ideate da Helga Dentale introducono il concetto di rappresentazione teatrale da una nuova prospettiva, perché ad ogni scena immaginaria è necessario dare voce, gesto e vita attraverso l’interpretazione. «Nelle fiabe interattive i bambini sono piccoli grandi attori di uno spettacolo da mettere in scena giocosamente».
64 H. Dentale, Io racconto … Tu ascolti … Insieme giochiamo!, Allegramente Edizioni, Roma 2012, pp. 18-19

65 H. Dentale, Il corpo narratore di storie, Youcanprint, Tricase 2015, p. 33.

La mia scelta viene supportata dalla motivazione che la stessa Helga Dentale dà a proposito di Caterina e Giacomone, cioè una mano e un piede diventano protagonisti di una storia. Ma perché giusto queste due parti del corpo e non tante altre? Ecco cosa ci risponde la stessa Helga Dentale:
Mani e piedi sono strumenti primari di conoscenza. Le mani costruiscono, creano, modellano, plasmano. I piedi ci sostengono, ci consentono di camminare, cambiare direzione, correre … Ho ideato la fiaba di Caterina e Giacomone, più di dieci anni fa con l’obbiettivo di esplorare attraverso la narrazione questi strumenti cosi preziosi per lo sviluppo del bambino. Al piede, più radicato sulla terra, più solido perché ci sostiene, ho dato una voce bassa, compatta. Alla mano, elemento che crea, plasma forme e accarezza ho dato una voce alta, più aerea e leggera. Mano e piede sono diventati personaggi espressivi da sperimentare.


Ciò che mi spinge a lavorare in questa direzione è sia la motivazione che ho trovato nei metodi didattici di Helga Dentale, ma soprattutto supportata dalla mia idea basata sulla mia personale osservazione che il corpo è strumento di apprendimento ed è in grado di sviluppare al meglio le sue capacità se viene guidato da un supporto emotivo e didattico. Le parole si fondono con le emozioni, diventano racconto e coinvolgimento attraverso un gioco che nasce spontaneamente tra le braccia della mamma.

ESPERIENZA DI TEATRO MAMMA CON CATERINA E GIACOMONE.
Oggetto della presente analisi sono tre coppie formate da tre mamme e tre bambini. La prima coppia è composta da mamma Irene e dal piccolo Mattia di quattro anni, la seconda da mamma Nicoletta e dalla piccola Greta di quattro anni ed, infine, dalla mamma Ilaria e dalla piccola Sofia di sei anni.
I protagonisti di questo esperimento presentano caratteristiche diverse, poiché diversi sono i luoghi in cui si svolge tale tipo di narrazione e interpretazione e diverse sono le componenti caratteriali che contraddistinguono ogni singola mamma, ed ogni singolo bambino. Diverso è anche il clima e la relazione familiare in cui tale situazione si svolge. Nonostante vi siano due bambini entrambi di quattro anni, si tratta di un maschio e di una femmina, con componenti emotive diverse e soprattutto con un approccio al racconto e interpretazione che presenta pochi elementi in comune. Il tutto va rapportato anche ad un diverso grado di maturazione raggiunta dai due bambini.
Il presente paragrafo procederà con la descrizione delle esperienze fatte sul campo. La prima coppia è quella formata da mamma Irene e il piccolo Mattia di quattro anni.
Si è appena conclusa la cena, la mamma ha rigovernato la cucina e il piccolo Mattia gioca nella sua camera. Finite le faccende domestiche, la mamma chiede a Mattia se vuole conoscere la storia di una manina e di un piedone, invitando così il bambino ad accomodarsi insieme a lei sul lettone. Ma il piccolo Mattia, prima di seguire la mamma, prende dalla sua cameretta alcuni dei suoi libri cartonati e colorati preferiti. A quel punto entrambi sono seduti sul letto e mamma Irene inizia il racconto-interpretazione della storia.
La reazione del bambino si articola in due momenti ben distinti: un primo momento caratterizzato dall’entrata in scena della manina Caterina e, un secondo momento realizzato dalla comparsa di Giacomone, il piedone. Quando Caterina si presenta con la sua vocina canticchiando la filastrocca della “Vecchia Fattoria”, il piccolo Mattia sfoglia uno dei suoi libri. La mamma inizia ad imitare gli animali della fattoria ed il bambino interagisce con lei imitandoli a sua volta e individuandoli nel libro che tiene in mano. La piccola rappresentazione interpretata dalla mamma si svolgerà in questo modo fino alla fine della filastrocca. La reazione del bambino cambia quando entra in scena Giacomone il piedone. Quando la mamma cerca di interagire con il piccolo, toccandolo con il piede, il bambino inizialmente ride, poi però mostra chiaramente di essere infastidito. Invita la mamma più volte a interrompere l’interpretazione, ma nonostante tutto non abbandona la
 scena del racconto e ascolta fino alla fine. Quando la mamma termina la sua narrazione, chiede al bambino se ha gradito la storia e lui risponde inizialmente con un timido si, mentre subito dopo dice no.
Alla mamma è stato chiesto di esprimere la sua personale opinione sul momento vissuto con il bambino. Quest’ultima ha spiegato che il bambino ha avuto una reazione diversa da quella che di solito ha quando lei gli racconta una storia. È il bambino che di solito chiede alla mamma di raccontargli una storia, decidendo lui in prima persona, il dove, il come e il quando. Tale momento si realizza soprattutto quando il bambino è in bagno: in questo caso la mamma ha sottolineato come il bambino interagisca con lei durante la narrazione, poiché il tutto avviene arricchendosi di un’interazione attiva tra i due protagonisti. La mamma racconta e il bambino la osserva, interviene nel racconto e aspetta una replica quando il tutto finisce.
Nell’esperienza appena osservata, ad una curiosità iniziale del bambino si nota una progressiva diminuzione della sua interazione, perché non era stato lui a chiedere questo momento e non era disposto alla narrazione.
Nel capitolo precedente abbiamo spiegato che, non necessariamente, il bambino deve stare immobile ad ascoltare un racconto, può infatti seguire la storia continuando a svolgere la sua attività di gioco. Mattia mostra un apparente disinteresse al racconto, ma ci fa capire di avere gradito a suo modo il momento realizzato con la mamma. Questo ci viene dimostrato dal fatto che il bambino, anche il giorno dopo, ricorda i protagonisti della storia interpretata, poiché dice alla mamma, dopo una sua esplicita domanda relativa al racconto, che si tratta di una manina e di un piedone.


Nell’analizzare il momento del racconto-interpretazione della seconda coppia, quella di mamma Nicoletta e della piccola Greta di quattro anni, è naturale sottolineare la diversa reazione della bambina rispetto a quella avuta precedentemente dal piccolo Mattia.
La mamma è appena rientrata dal lavoro e la bimba, che aspetta con ansia questo momento, le corre incontro, abbracciandola. Anche mamma Nicoletta, così come a sua volta aveva fatto mamma Irene con Mattia, invita la piccola Greta a conoscere la storia della manina Caterina e del piedone Giacomone.
La piccola Greta accoglie l’invito della mamma, ed entrambe si siedono sul tappetto che si trova ai piedi del divano in salotto. Greta si mostra alquanto incuriosita e, posizionandosi di fronte alla mamma la guarda negli occhi, e non tiene in mano alcuno oggetto. Mamma Nicoletta presenta Caterina che con la sua vocina canticchia la filastrocca della “Vecchia Fattoria”, mentre la piccola Greta, sorridente, interagisce con la mamma, partecipando attivamente all’interpretazione sin dal primo  
momento, con l’imitazione del verso degli animali. Quindi il teatro mamma si sta realizzando attraverso la rappresentazione di Caterina e Giacomone, arricchita dall’attiva interazione tra Nicoletta e Greta. Anche l’ingresso in scena di Giacomone il piedone non sembra interferire con l’interesse mostrato dalla bambina che, attenta, ascolta le parole interpretate dalla mamma e, contemporaneamente osserva i movimenti del piedone Giacomone. La bambina rimane coinvolta fino alla fine della narrazione e, attratta dalla storia, chiede alla mamma di replicare tale momento anche a distanza di qualche ora.
Entra qui in gioco la componente analizzata nel capitolo precedente sull’importanza della ripetitività. È stato, infatti, sottolineato più volte quanto importante sia ripetere la stessa narrazione chiesta dal bambino o proposta dalla mamma poiché rappresenta un elemento di rafforzamento e consolidamento nel rapporto tra i due protagonisti.
Chiedendo alla mamma Nicoletta, di esprimere una sua personale opinione sul momento realizzato, quest’ultima ha sottolineato quanto l’esperienza sia stata positiva e costruttiva poiché ha arricchito lo sviluppo relazionale con la sua bambina. A distanza di qualche giorno è stato chiesto alla bambina se ricordava la storia di Caterina e Giacomone e lei, sorridendo, risponde che era quella della manina e del piedone, chiedendo alla mamma di poter riascoltare la storia.


La terza e ultima osservazione vede come protagoniste mamma Ilaria e la piccola Sofia di sei anni. Mamma Ilaria chiede alla sua bambina appena rientrata dalla scuola se ha mai sentito parlare di Caterina e Giacomone. La bambina molto incuriosita dice di no e, a quel punto, la mamma la invita a seguirla nel loro posto preferito: la camera da letto di mamma e papà. Le due si siedono sul letto, l’una di fronte all’altra, e mamma Ilaria inizia a narrare la storia della manina e del piedone. Mentre la mamma sta seduta, Sofia continua a muoversi su e giù per il letto senza mai, però, distogliere lo sguardo dalla sua mamma. La bambina, infatti, interagisce con la mamma, seguendo ogni movimento della sua mano e, quando viene introdotta la filastrocca della “Vecchia fattoria”, addirittura canta insieme a lei. Quando entra in scena Giacomone il piedone, la bambina si ferma un attimo e, ascoltando attentamente le parole della mamma, la imita, starnutendo a sua volte e toccando Giacomone.
Anche a mamma Ilaria è stato chiesto di esprimere la sua personale opinione su questo incontro narrativo. Ilaria ha sottolineato quanto sia stato bello e coinvolgente il momento trascorso con la sua bambina, ed ha trovato la storia semplice ma comunque adatta ad una bambina di sei anni, che già è attratta da un repertorio diverso. Ma ciò che ha tenuto alta l’attenzione della bambina, è stata soprattutto la contrapposizione della vocina Caterina e del vocione di Giacomone.
Dopo la narrazione, la mamma ha chiesto a Sofia se le era piaciuta la storia. La bambina ha risposto che era divertente e che avrebbe voluto raccontarla alla sua cugina Angelica, cosi come aveva fatto con lei la sua mamma. Da questa esperienza emerge quindi, l’elemento dell’imitazione, già affrontato nel primo capitolo. Il bambino, infatti, attraverso il gioco simbolico, imita il comportamento degli adulti, ricreando così, una situazione già vissuta in prima persona.

Dalle esperienze osservate, emergono tre aspetti fondamentali: ovvero nella prima si nota l’attenzione indiretta, nella seconda la ripetitività e, nell’ ultima l’imitazione della narrazione. Tutte componenti essenziali per la crescita e formazione psico-emotiva del bambino. 

Tratto dalla tesi di laurea di Rosita Zaiti


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